Via Chiatamone è una storica strada partenopea ai piedi dell’alta rupe di monte Echia, meglio conosciuto con il nome di Pizzofalcone. E’ qui che i Cumani fondarono, nell’VIII secolo a.C., la loro Partenope!

In pratica è quella strada che parte dall’odierna Via Santa Lucia fino alla Galleria della Vittoria in parallelo al lungomare di Napoli.

Origine del nome

Il suo nome è legato al termine greco Platamòn – rupe scavata da grotte – l’antico nome del monte Echia. Ai piedi dello sperone roccioso si aprono infatti diverse grotte e cavità : le grotte platamonie. Alcune di queste grotte sono state scavate per estrarre il tufo, altre si sono formate naturalmente a causa dell’erosione dell’acqua.

Grotte Platamonie al Chiatamone
Grotte Platamonie al Chiatamone

Un curioso percorso evolutivo ha portato la parola greca ‘Platamòn’ a diventare, attraverso la forme intermedia di ‘Sciatamone’, l’attuale ‘Chiatamone’.

Le antiche grotte del Chiatamone offrivano un fresco rifugio dalle calde estati e costituivano al tempo stesso il fulcro di culti misteriosi, in particolare quelli dedicati a divinità come Serapide e Mitra.

Nel tempo divennero anche un luogo di interesse per la malavita locale, che vi nascondeva merci di contrabbando, e il rifugio ideale per piaceri proibiti e attività di malaffare. Lo scandalo che ne derivò indusse il viceré don Pedro da Toledo a farle chiudere. Ancora oggi sono in parte abbandonate o vergognosamente trasformate in garage privati.

Storia breve di Via Chiatamone

In origine è un semplice sentiero sterrato, più volte distrutto dalle onde del mare, nato per collegare il convento di Santa Maria a Cappella vecchia con il Castel dell’Olvo e Santa Lucia.

La vera e propria strada che porta questo nome ebbe il suo primo tracciato nel 1458 per volontà di Alfonso d’Aragona. Ma fu l’ampliamento delle mura cittadine, voluto da Don Pedro de Toledo nel 1537, a dare alla strada una forma più definita e duratura.

Rampe di Pizzofalcone, tra il Chiatamone e il Monte Echia
Rampe di Pizzofalcone, tra il Chiatamone e il Monte Echia

Nei secoli successivi è stata più volte rettificata, ampliata e livellata. Qui vi è il punto di arrivo delle rampe di Pizzofalcone, note anche come rampe Lamont Young, che dal Monte Echia arrivano fino al mare. La sua costruzione, voluta da Ferrante Loffredo, proprietario di palazzo Carafa di Santa Severina era un progetto ambizioso che si è prolungato per oltre due secoli.

Tra il Settecento e l’Ottocento, Via Chiatamone divenne il salotto buono della città, attirando l’aristocrazia e l’alta borghesia.

La realizzazione della “colmata a mare“, che a partire dal 1869 trasforma in terraferma gli antichi frangiflutti di via Partenope e via Caracciolo, determinarono un radicale cambiamento dell’aspetto di Via Chiatamone.

La strada, un tempo aperta sul mare, venne allontanata dalla costa e il suo panorama oscurato da imponenti edifici.

Chiese e palazzi del Chiatamone

Per ben 56 anni, dal 1962 al 2018, il civico 62 di via Chiatamone ha ospitato la redazione del prestigioso quotidiano napoletano Il Mattino.

Chiesa della Concezione al Chiatamone

Tra i tanti edifici che hanno segnato la storia di questa strada c’è la Chiesa della Concezione al Chiatamone (al civico 24), conosciuta anche come “Crocelle”. La chiesa è indissolubilmente legata all’ordine dei padri Ministri degli Infermi detti delle Crocette.

Chiesa della Concezione al Chiatamone, Napoli
Chiesa della Concezione al Chiatamone, Napoli

E’ un gioiello del barocco napoletano, con una facciata spettacolare modellata dalla maestria di Bartolomeo Vecchione e un interno ricco di opere d’arte che portano la firma di Nicola Malinconico e Antonio Sarnelli. Ai piedi dell’altare si trova la Tomba di Paolo De Matteis, pittore del quale la chiesa conserva numerose opere. A sinistra dell’ingresso si trova un Crocifisso ligneo dell’Azzolino e il monumento funebre di John Chetwode Eustace.

Albergo delle Crocelle e Real Casino di Pesca

Nel Settecento, accanto alla chiesa, fu edificato l’Albergo delle Crocelle (al civico 26/30), una delle prime strutture turistiche presenti in zona. In tutto il suo esercizio ha avuto ospiti illustri tra i quali l’avventuriero veneziano Giacomo Casanova. Era qui che la bellissima Sara Goudar, amante di re Ferdinando IV, gestiva la più famosa bisca di Napoli. La sua fortuna, però, ebbe una brusca interruzione quando la regina Maria Carolina venne a conoscenza della relazione e dell’attività illegale, costringendo la Goudar ad abbandonare la città.

Poco più avanti sorgeva il Real Casino di Pesca al Chiatamone e il suo meraviglioso giardino, conosciuto dai più come il Boschetto di Francavilla. Il nome gli viene da uno dei suoi illustri proprietari, Michele d’Oria Principe di Francavilla. ” Casino di delizie” di don Michele Imperiali, principe di Francavilla.

Chiatamone antica stampa Napoli
Chiatamone antica stampa Napoli

Alla morte del principe, il Casino Reale fu acquisito dai Borbone, che ne fecero la loro residenza estiva e lo destinarono all’accoglienza di illustri ospiti. Si narra che la principessa Carolina di Brunswick, futura regina d’Inghilterra, scelse proprio questo luogo incantevole per organizzare, il 31 dicembre 1814, un ballo in onore dei suoi augusti ospiti, i sovrani Murat.

Dopo l’Unità d’Italia, l’edificio passò in mano privata e fu destinato all’accoglienza turistica, ospitando prima l’Hôtel Washington e poi l’Hotel Hasler. Gli eredi di Alberto Hasler vendettero il boschetto all’ing. AngeloCosenza che qui fece elevare il palazzo (via Chiatamone n. 57), che ancora oggi porta il suo nome. L’edificio dell’ex Casina Reale, fu venduta all’Istituto di Scienze Economiche e Commerciali, la futura Facoltà di Economia e Commercio di Napoli.

L’acqua “suffregna” del Chiatamone

Cera un tempo in cui in Via Chiatamone sgorgavano ben cinque sorgenti della rinomata acqua ferrata e sulfurea, chiamata dai napoletani l’acqua “suffregna”.

L’acqua, conservata in anfore di coccio dette mummare, è stata da secoli la bevanda per eccellenza dei napoletani in quanto era considerata un rimedio naturale per molti malanni. Molti la usabano per diluire il vino troppo robusto, oppure la sorseggiavano con l’aggiunta di una spremuta di limone e un pizzico di bicarbonato di sodio, consumata presso i banchi gli acquafrescai, detti anche banche dell’acqua.

Le sorgenti sono state progressivamente ingoiate dalle trasformazioni urbanistiche, ma è il colera del 1973 a privare i napoletani della loro amata fonte. Un potente personaggio, infatti, fece diffondere false voci sulla contaminazione dell’acqua.

La fonte superstite è sbarrata da un cancello chiuso nel cortile posteriore dell’albergo Continental di via Chiatamone.